Nel 1287 si sente citare per la prima volta “Lupeta” quando tolsero la capitaneria del Valserchio e del Valdarno creando la capitaneria di “Vico in Lupeta”. La storia racconta: “percorsa una viottola bianca che s’incespica su tagliando chissà quanti traniti di margherite gialle e felci, in un mare di olivi, ci è apparsa la valle di Lupeta”.
La prima attestazione della presenza di una chiesa in questa valle risale a un atto notarile del febbraio del 757 che ci viene riportato dal Muratori. Nell’atto si precisa che la chiesetta di San Mamiliano comprendeva prati, vigneti, pascoli e l’antico monastero di Santa Maria in collina.
San Mamiliano, protettore dei navigatori — vissuto a cavallo tra il V e VI secolo — era venerato in tutta l’Etruria e fu scelto per denominare la chiesa di Lupeta per il legame commerciale di cui Vicopisano godeva con il porto pisano. Col sorgere dei monasteri, nasce il fenomeno del monachesimo di cui San Mamiliano esprimeva due aspetti:
• il momento della solitudine e contemplazione;
• il servizio spirituale e pastorale verso la comunità (come aiuto).
Nel monastero dell’epoca abitavano due sole religiose, Rotoperga e Romina, nipoti di prete Rotpertu, il probabile fondatore della chiesa di San Mamiliano e del suo monastero. Alla loro morte, il monastero passò alla chiesa di Santa Maria di Pisa. Sembra che la chiesa e il monastero siano stati nel tempo abitati da benedettini (fino ai primi del XIV secolo), da premostratensi, da cistercensi e da agostiniani. è certo che nel 1134 li abitassero dei canonici dell’ordine di Sant’Agostino, trasferitisi poi nel convento di San Nicola a Pisa nel 1294, a riconferma della loro presenza a San Mamiliano. Nel 1291, il complesso è menzionato come Priorato di San Mamiliano in Lupeta.
Che la chiesa di San Mamiliano fosse compresa nella Diocesi di Pisa lo ricordano numerosi autori, con il titolo di “Prioria” (1372). La chiesetta possedeva arredi e oggetti d’argento e tutto ciò era molto ambito per i benefici che le proprietà portavano al monastero. Il 17 dicembre 1424 la chiesetta dedica il suo culto anche a San Jacopo, mantenendo sempre il nome di San Mamiliano. L’ultimo documento che riporta il nome di San Mamiliano risale al 1552. La Prioria di San Mamiliano contava di due monasteri quando Santa Maria passò a Santa Marta di Pisa, nel 1399. Questo passaggio è dovuto alla perdita di “freschezza” del culto di San Mamiliano, in favore di una maggiore diffusione del culto di San Giacomo (= Jacopo).
Vicino al complesso passava la Via Francigena, percorsa dai pellegrini che si recavano a Pisa per imbarcarsi alla volta di Santiago de Compostela, dove San Giacomo riposa. Nel 1463, l’Arcivescovo Filippo De Medici viene in visita pastorale a Vicopisano e racconta che lo stato degli edifici ecclesiastici non è dei migliori. Le guerre tra Firenze e Pisa avevano distrutto l’equilibrio spirituale ed economico di queste località, così come quello di Lupeta: i frati e i cittadini del paese di San Jacopo si erano visti infatti costretti a fuggire. Nel 1493 finisce la Prioria di San Giacomo e nel 1496 la Prioria è tenuta dal Cardinale Giovanni De Medici, futuro Papa Leone, che dichiara — con la morte dell’ultimo priore vacante— la nuova Prioria. Quest’ultima venne data in commenda, insieme a tutti i suoi beni, a chiunque ne richiedesse il possesso. Tra il 1511 e il 1514, il convento domenicano di Santa Caterina di Pisa, proprietario del complesso, effettua riparazioni al campanile e alle strutture murarie rese necessarie dalle suddette guerre. In questa occasione, alcuni arredi sacri vengono restituiti al complesso.
Nel 1515, sempre in armonia con il piano portato avanti dal Cardinale Giovanni De Medici (in carica alla sede pontificia), la Prioria passa a Baldassarre Turini di Pescia, fedelissimo servitore della famiglia De Medici. Nel 1523 il priorato passa a Pietro Urbani, anch’esso vicino alla curia romana. Per le ricchezze del territorio e delle case di proprietà, il priorato di San Mamiliano chiese a Papa Leone X il trasferimento alla Diocesi di Pescia (bolla 519) che era direttamente sotto collaborazione papale. Le carte che attestano il passaggio di proprietà risalgono alla bolla di Clemente XII del 26 novembre 1523 e i canonici di Pescia ne presero possesso nel 1534, alcuni mesi prima della morte di Urbani. Nel 1534 il priorato di San Mamiliano di Lupeta fu intestato all’Ordine di Sant’Agostino e unito perennemente alla chiesa di Santa Maria di Pescia, sotto la giurisprudenza della mensa capitolina.
In questo periodo, la Santa Messa veniva detta una volta alla settimana dal prete Nicola di Gabriello di Vicopisano e San Giovanni alla Vena, a fronte di un compenso di 2 scudi l’anno. Persino il Vescovo di Rimini, Asciano Parisi, molto vicino al Papa, fece richiesta di successione per avere le rendite e i benefici della chiesa in Lupeta. Nel 1535 i canonici di Pescia allargarono i beni della chiesa estendendo i confini fino a Calcinaia e a Cascina: vi erano molte case coloniche e fattorie, 3 case-chiese all’interno del borgo medievale di Vicopisano. Nel 1547, la chiesa fu affidata a Michele Grifoni di San Miniato e i pesciatini si assicurarono le rendite senza occuparsi delle spese di gestione. Dopo pochi anni la chiesa si trovò spoglia di numerosi arredi e assai bisognosa di riparazioni.
Nel 1572, in occasione di una sua visita pastorale, il Vescovo di Pisa Arici commissionò al Piovano di Vicopisano e al Capitano di Pescia di ufficiare la Santa Messa e di rifare la manutenzione entro due mesi: altare, croce, mensole, candelieri furono così reintegrati. Nonostante questo, dopo tre anni, il complesso versava nuovamente in pessime condizioni. Si susseguirono a questi, molti altri affittuari di Pescia, di Vicopisano e di Calcinaia ma le condizioni della chiesa in questo periodo non
subirono miglioramenti. Da una visita pastorale del 1682 emersero la mancanza di alcuni oggetti sacri e la necessità di riparazioni.
Nel 1768 il medico naturalista fiorentino, Dottor Giovanni Targioni, raccontò in un diario le bellezze naturalistiche e architettoniche della Valle di Lupeta, dove però trova la Badia di San Jacopo molto compromessa e così anche l’antico convento, abitato da contadini. Nel 1787 il piovano di Vicopisano, Domenico Maria del Corso — incaricato di dire la Santa Messa nella chiesetta — informa la mensa capitolina di Pescia delle pessime condizioni in cui si trovavano le strade per raggiungere la chiesa e della scarsissima presenza di fedeli, chiedendo di recitare le funzioni soltanto in occasione della festa del patrono: il 25 e il 27 luglio. I canonici pesciatini si occuparono il meno possibile della chiesa e questa fu quindi assegnata a Domenico Balducci di Vicopisano. A testimonianza di questo passaggio si è conservata una lapide (e così anche le tombe di questa famiglia).
Dal punto di vista artistico, si fa menzione — richiamata più avanti — di pitture mai citate in precedenza. Il Baroni ricorda la campana con la Vergine Assunta in cielo, ai lati San Jacopo e una lucertola con una foglia in bocca e un’iscrizione incisa.
Alla metà dell’Ottocento risale la planimetria del Catasto Leopoldino dalla quale si ricava l’effettivo agglomerato del Poggio di San Jacopo. Nel Novecento, le prime notizie della chiesa di San Jacopo sono redatte dal geometra Bernardini della Soprintendenza di Pisa in relazione al restauro della chiesa e del campanile, operato in seguito ai danni di guerra perpetrati fino al 1945. Dal 1915 al 1951 si afferma l’importanza di questa chiesa e quindi la sua tutela. Nel 1925 il Sig. Niccolò Crastan acquista la chiesa, una villa e terreni ad esse annessi. Tra gli obblighi del passaggio di proprietà vi era la manutenzione dell’edificio ecclesiastico. Negli anni ‘Trenta fu restaurata dall’Ing. Montanari e dall’Arch. Oreste Zocchi della Soprintendenza di Pisa ma presentava molti problemi statici. Una testimonianza del Telegrafo del 24 luglio riporta lo stato della chiesa e la descrizione del campanile: alto una ventina di metri, costituito da cinque piani, con il tetto sorretto da numerosi puntelli. Il Telegrafo riporta inoltre la presenza nella chiesa di numerosi epigrafi che attestano la sepoltura della famiglia Balducci, dei coniugi Nigiotti, Silvatici e Baroni. L’articolo è di Giovanni Iacopetti. Per l’interesse storico e artistico in essa racchiuso, la chiesa di San Jacopo venne sottoposta a tutte le tutele dettate dalla legge 1089/1939 art. 71 del documento redatto dal Ministro Visca (22/07/1957). Nell’inverno 1934 le condizioni della chiesa peggiorarono ulteriormente, forse a causa di una forte nevicata una porzione del tetto subì un crollo. Risalgono a questo periodo molte fotografie.
Con la Seconda Guerra Mondiale anche il campanile subì un grave danno. I tedeschi, che si erano insediati nella Villa Crastan, minarono la parte terminale del campanile per impedire agli alleati di individuare il loro avamposto. Le macerie caddero rovinosamente sulla chiesa, distruggendo una parte del tetto e parte delle pareti dell’abside. L’ennesimo crollo avvenne nel 1948, come scrive il parroco di allora, lasciando la chiesa quasi totalmente scoperta. Dopo la guerra la Soprintendenza ai Monumenti della Provincia di Pisa si interessò al restauro incaricando l’Ing. Vanni e, successivamente, l’Ing. e Arch. Aussant di redigere perizie elencando materiali e spese da affrontare. L’Ing. Vanni, nel 1945, stimò le spese di progetto a circa 440.000 £ che furono chiesti alla famiglia Crastan.
Nel 1953 un vento forte danneggiò gravemente gli affreschi, in particolare quello di San Francesco di cui parleremo più avanti. Nello stesso anno la chiesa fu assimilata dalla parrocchia di Santa Maria di Vicopisano, con l’allora parroco Ferdinando Verona. In questo periodo in Lupeta abitavano circa 900 persone.
Nel 1956, Nicolò Crastan con un atto di successione trasferì in parti uguali la proprietà alle figlie Lidia, Elsa e Ida. Queste manifestarono subito il desiderio di liberarsi della chiesa, sia per le spese di gestione che per la responsabilità civile. è del 18/07/1957 il passaggio di proprietà dalle sorelle allo Stato, sia della chiesa che del campanile. L’atto fu reso possibile tramite richiesta all’Intendenza di Finanza della Repubblica e dell’Ufficio del Registro Italiano, rappresentata dall’Onorevole Giuliano Andreotti, Ministro delle Finanze, la cui firma risulta apposta su tutti i documenti il giorno 28/12/1956. Si ha testimonianza con il documento presente nell’archivio della Soprintendenza di Pisa. La chiesa e il campanile necessitavano di lavori per un totale di 6 milioni di lire. L’ufficio tecnico erariale rifiutò la donazione a causa del cattivo stato in cui versava l’edificio (1957) e per la somma esigua che la famiglia Crastan avrebbe messo a disposizione, pari a 500.000 £.
Vista l’importanza architettonica della chiesa, nel 1959 gli uffici di competenza furono sollecitati ad accettare la donazione. Nel 1960 il Ministero richiese alla famiglia Crastan il compenso di 500.000 £ al fine di procedere con lavori di restauro ma la corrispondenza è scarsa.
Nel 1961, il Decreto n. 1571 del Presidente della Repubblica autorizza la donazione. Il Decreto fu pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 21/02/1962.
Nel 1968 il parrocco di Vicopisano, Don Aldo Armani, ricorda al Ministero della P.I. i vari lavori svolti e da svolgere: agli anni 50-60 risale il restauro delle torre campanaria, agli anni 68-72 i principali lavori di restauro all’interno della chiesa. Nel 1972 il parroco Don Aldo Armani sospese l’ufficiatura della Santa Messa per poter eseguire il restauro parietale, rifare la pavimentazione e rimuovere le ottocentesche epigrafi marmoree. Queste, in accordo con il Comune, furono ricollocate sulle pareti del cimitero comunale.
Nello stesso anno si verifica il passaggio di competenza alla Soprintendenza di Pisa e si ha una fitta corrispondenza tra il parroco Don Aldo e il Soprintendente Ubaldo Lumini, Ministro della Pubblica Istruzione. Grazie alla collaborazione dell’Onorevole Giuseppe Togni, vengono stanziati 8.000.000 £ per il funzionamento dei lavori. I lavori terminarono nel 1972 ma la chiesa non poteva ancora essere aperta. L’Intendenza di Finanza presentò a Don Aldo Armani un contratto di concessione nel quale si richiedeva all’ente ecclesiastico il pagamento di un canone di affitto annuale e l’onere di manutenzione ordinaria. Si creò così un contenzioso con il Ministero delle Finanze, l’Intendenza e la Soprintendenza. Soltanto dopo alcuni anni al parroco fu permesso di celebrare la Santa Messa.
Nel maggio del 1974, l’Arcivescovo Benvenuto Matteucci riconsacrò la chiesa ribenedicendola. Per l’occasione tutti gli abitanti di Lupeta contribuirono a organizzare una grande festa alla quale parteciparono anche i figli delle sorelle Crastan, il signor Pergami e sua sorella Parisa. Durante la festa furono proclamate bellissime poesie.
La chiesa risulta quindi nuovamente affidata al parroco, di proprietà demaniale e con questioni di pagamenti, oneri e canoni ancora insoluti.
Nel anni Ottanta si ripresentano problematiche strutturali: la caduta di alcuni rami sul tetto causa perdite interne di acqua. L’Intendenza di Finanza voleva far ricadere sul parroco le spese di riparazione ma, non avendo firmato il contratto di concessione, il parroco poté liberarsi dell’incombenza.
La parrocchia passa in questo periodo al un nuovo parroco Don Giuliano Boschi.
Il 30/11/1989 viene redatto un nuovo sommario capitolato dei lavori, di importo stimato a 30.000.000 £.
Nel 1996 la Soprintendenza di Pisa cataloga il bene in un documento contenente una relazione storico-artistica e allegante fotografie dell’edificio, raccolte oggi nell’archivio della fototeca della Soprintendenza.
Il 22/03/2001 il Sindaco Antonella Mallogi fece istanza all’Agenzia del Demanio per ottenere in concessione la chiesa in modo da poter eseguire manutenzioni e attività religiose. Il 27/11/2009, a causa della crisi economica, il Comune di Vicopisano fu costretto a rinunciare alla concessione.
La parrocchia di Santa Maria, che da sempre aveva manifestato interesse per la bellissima chiesetta, la vede nuovamente chiusa al pubblico, con rarissime occasioni di culto: occasionali richieste di battesimi e matrimoni, oltre che le celebrazioni della festa patronale (24-25 luglio).
Nel 2010, spinto dalle richieste sempre più pressanti della comunità, il nuovo parroco Tadeusz Dobrowolski, secondo la modalità del DPR 296/2005, senza ottenere dichiarazioni di assenso della Diocesi di Pisa — rappresentata dal Vescovo Giovanni Paolo Benotto — adotta la chiesa.
Nel 2014, alcuni articoli di giornale, segnalano ancora una volta le problematiche già note.
Il demanio richiede la sconsacrazione della chiesa e il parroco, in tutta risposta, dà vita a un comitato cittadino il cui scopo è quello di ravvivare la convivialità e la percezione del luogo tramite regolari iniziative, anche volte alla raccolta di fondi da destinare al graduale recupero degli spazi.
La curia di Pisa concede al Comitato l’uso a titolo gratuito della chiesetta per 6 anni.
Il Comitato di cui faccio parte si è fatto carico della preziosa chiesa e, sostenuto dai cittadini, dalle altre associazioni e da numerosi sapienti volontari, ha eseguito i lavori più urgenti: controllo e riparazione del tetto, nuovo impianto elettrico, trattamento del pavimento, controllo delle finestrelle del campanile e, per finire, collocazione di due targhe commemorative in memoria di Don Aldo Armani e Paolo Pietrobon, defunto Presidente Onorario del nostro Comitato.